giovedì 7 marzo 2013

MA MAMAN EST COMME çA



Buongiorno a tutti gli affezionati, 

qualche giorno fa ho ricevuto l’invito ad una conferenza, che si terrà la sera dell’otto marzo, intitolata “Il potere delle donne”. L’introduzione indica che il dibattito offrirà una riflessione sul potere delle donne a seguito dei cambiamenti culturali avvenuti in questi anni e, grazie all’intervento di un avvocato matrimonialista, si cercherà di discutere alcuni punti critici. Questo invito mi dà lo spunto per fare alcune personali riflessioni.

L’anno scorso in occasione della festa della donna avevo scritto una newsletter in cui mi chiedevo perché continuiamo a parlare di uomini e donne e non parliamo invece di persone, perché continuiamo a dare importanza al sesso, al colore della pelle, alla religione etc … affannandoci a mettere in risalto le differenze mentre non ci rendiamo conto che sono solo dettagli insignificanti di fronte al concetto di Essere Umano.

La risposta che mi sono data è che tutto dipende dal punto di vista da cui osserviamo le cose. Partiamo dal concetto di persona e dal presupposto che una persona sia fatta di una parte materiale (corpo) e da una parte spirituale (mente-anima). Per un attimo e per semplicità trascuriamo la mente e consideriamo la parte spirituale come sinonimo di anima. Per quanto riguarda la parte materiale, ovvero il corpo, possiamo sicuramente parlare di genere femminile e maschile. Sia da un punto di vista fisico che fisiologico è innegabile che vi siano corpi di genere femminile e corpi di genere maschile ed è fuori dubbio che tra loro vi siano delle differenze.





Se consideriamo però la nostra parte spirituale, possiamo parlare di genere?  In altre parole l’anima ha un sesso? Prima di rispondere a tale domanda dovremmo chiederci che cos’è lo spirito (anima) e da che cosa è formato. Se lo spirito, come parrebbe, è energia, può l’energia avere un sesso? Direi di no. A questo punto è interessante porsi un’altra domanda… qual è la nostra vera essenza?

Il corpo è mortale e questo è un dato di fatto. L’anima è mortale o immortale? Nessuno può dirlo con certezza ma assumiamo per vero che esista e sia immortale così come sostengono alcune correnti di pensiero. Poiché il corpo è mortale e se assumiamo che l’anima sia immortale, sarei portata a rispondere che è la parte spirituale la nostra vera essenza perché sopravvive al corpo. In parole più semplici il corpo, in questa visione, è un po’ come se fosse una maschera di carnevale che noi indossiamo per andare ad una festa ma che alla fine ci togliamo per tornare ad essere noi stessi.




Se accettiamo il fatto che la nostra vera natura è spirituale e non materiale, non dovremmo allora anche imparare a guardare nella prospettiva dello spirito e non più del corpo, come invece siamo soliti fare?

Faccio un esempio. Se osserviamo le persone, vediamo che alcune nascono ricche, altre nascono povere, alcune nascono più belle altre meno etc  Da questo punto di vista siamo portati a dire che non esiste uguaglianza perché le varie fortune sono distribuite in modo diverso ma questo perché giudichiamo da un punto di vista materiale. Se osservassimo le cose in termini di spirito invece, tutte le persone risulterebbero uguali dato che, indipendentemente dalla ricchezza o bellezza, a livello di anima ognuno di noi non ha forse le stesse possibilità di raggiungere la felicità e il benessere interiore? Nei libri che parlano di viaggi, soprattutto quelli ambientati in Africa, mi ha sempre colpito il fatto che coloro che hanno avuto modo di visitare paesi poveri rimangono spesso impressionati dalla serenità delle persone che non hanno niente…

Quando consideriamo e giudichiamo un’altra persona in termini di genere (uomo-donna) stiamo guardando con una prospettiva materialista perché il genere (sesso) è una caratteristica propria del corpo. Ma visto che il corpo è mortale, questo modo di vedere non è anch’esso limitato? Se è vero che la nostra essenza è spirito, il corpo non dovrebbe essere solo un dettaglio insignificante?



Quando un edificio viene costruito su basi che non sono solide la possibilità che prima o poi ceda o crolli è molto elevata. Mi guardo intorno e la sensazione che provo è di sconforto: principi e valori sembrano non esistere più. Parole come rispetto, giustizia, tolleranza, sono diventate parole vuote, prive di senso… non parliamo poi di altruismo… basta cadere nella rete della burocrazia per rendersi conto che è utopia: siamo considerati numeri. L’aspetto umano? Inesistente. Mi chiedo, perché questo degrado? Perché questo egoismo dilagante? E se fosse perché principi e valori in cui abbiamo creduto finora e su cui basiamo la nostra esistenza poggiano su presupposti sbagliati?

Consideriamo l’educazione. Fino a non molto tempo fa l’educazione era caratterizzata da due linee nette di pensiero a seconda che fosse indirizzata ai maschi o alle femmine: alle bambine si insegnava a comportarsi in un certo modo poiché il loro obiettivo nella vita doveva essere quello di sposarsi possibilmente con un uomo ricco e fare famiglia; viceversa al maschietto venivano insegnati altri valori poiché l’obiettivo nella vita era quello di essere il più furbo, il più forte e possibilmente il più potente dato che sulle sue spalle sarebbe gravato il mantenimento della famiglia. E’ interessante notare come questi insegnamenti siano stati avvalorati più o meno inconsciamente da un certo tipo di cultura. Ad esempio molti autori, tra cui Jack Zipes, dimostrano in modo molto chiaro come le fiabe classiche siano state costruite con l’intento di indirizzare verso un certo modo di pensare e agire. Fiabe come Cenerentola, Biancaneve, Cappuccetto Rosso, tanto per citare alcuni esempi tra le più famose, sono rivolte principalmente alle bambine e trasmettono un ideale di donna remissiva, fedele, dedita alla casa e con l’unico obiettivo di sposare il principe azzurro. L’insegnamento nascosto nella fiaba di Cappuccetto Rosso, che si discosta leggermente dallo schema delle precedenti, mira invece a mettere in guardia le donne dal disubbidire a quanto viene loro insegnato pena l’essere divorate dal lupo ovvero dal male.



Sul versante maschile invece fiabe come Il gatto con gli stivali e Pollicino, per citarne alcune, propongono un ideale di uomo scaltro, furbo e addirittura senza scrupoli. L’insegnamento che passa è che per l’uomo non è importante l’aspetto fisico (Pollicino per esempio era il più piccolo dei fratelli) ma il fatto di essere scaltro. L’obiettivo non è, come per la donna, il matrimonio bensì il raggiungimento di una certa sicurezza economica da acquisire a tutti i costi (il gatto con gli stivali uccide l’orco per impossessarsi delle sue ricchezze e anche Pollicino, per salvare i fratelli, fa uccidere le figlie dell’orco e poi inganna l’orchessa per recuperare il denaro che gli permetterà di vivere una vita agiata). Quindi le fondamenta su cui si basava l’educazione fino a poco tempo fa erano la differenza di genere. Ma oggi questi presupposti sono ancora validi? E’ giusto che la nostra educazione, e le conseguenti regole a cui dobbiamo attenerci, si basi sulla differenza uomo-donna? Mi sembra che i fatti dimostrino che tali presupposti non solo oggi non siano più validi ma forse, a ben vedere, non lo siano mai stati. Da questo punto di vista è molto interessante il film di Tanya Wexler, tratto da una storia vera, “Hysteria” perchè evidenzia come una malattia molto diffusa tra le donne nell’epoca vittoriana (l’isteria) trovasse le proprie cause nell’impossibilità, per le malcapitate, di fuoriuscire da una certa mentalità che le obbligava ad una vita noiosa (perchè già tracciata) e priva di sbocchi creativi che le rendeva piene di rabbia, nevrotiche e depresse apparentemente senza motivo.
Quelle doti e caratteristiche “femminili” che oggi si tende a considerare perse o compromesse (“non ci sono più le donne di una volta…”) esistevano veramente o erano finzione imposta?




Una cosa interessante, e che spesso in queste occasioni ci si dimentica di evidenziare, è che questi presupposti, su cui si fondano i nostri comportamenti e che si basano sulla differenza di sessi, non sono solo limitanti per le donne ma anche per gli uomini. Pensiamo per esempio ad una coppia con figli che divorzia. Fino a poco tempo fa l’affido dei figli veniva dato nella maggioranza dei casi alla madre perché si credeva che la madre fosse, per sua natura, un genitore migliore del padre. Fortunatamente oggi si è riconosciuta l’infondatezza di questo presupposto e la legge sempre di più in caso di divorzio, propende per l’affido congiunto. Alla luce di questo, non è ragionevole pensare che essere un buon genitore non dipenda dall’essere maschio o femmina ma dipenda da qualcosa che trascende il genere?
Tanto tempo fa, quando ancora per i maschi esisteva il servizio militare obbligatorio un ragazzo mi confidò che durante la famosa visita dei tre giorni gli era stato chiesto di compilare un test e alla domanda se gli piacevano i fiori aveva risposto di no per non rischiare di essere giudicato gay. Su che cosa si basava questo evidente pregiudizio? Perché un maschio dovrebbe vergognarsi di amare i fiori?
Smettila di piangere.. fai l’ometto”  ricordo di aver spesso sentito dire… Perché un uomo non dovrebbe piangere? Sulla base di che cosa un uomo dovrebbe negare di provare emozioni come la tristezza, la commozione etc.. quando sappiamo benissimo che le emozioni sono una parte fondamentale del nostro essere umani? Perché un uomo che piange dovrebbe essere meno uomo?




Quando insistiamo a ragionare sul genere ragioniamo su un concetto che appartiene a qualcosa (il corpo) di transitorio. Ci stupiamo del fatto che stiamo assistendo ad un crollo di valori ma forse non ci rendiamo conto che abbiamo basato le nostre credenze e le nostre regole di vita su presupposti (differenza uomo-donna) che sono limitati e limitanti. Non sarebbe meglio sancire principi e regole sulla base di presupposti meno soggetti a limiti? Anziché vedere e impostare le cose in termini di genere (maschio-femmina), non sarebbe meglio ragionare ad un livello superiore ovvero in termini, per esempio, di anime?




Per concludere vi propongo due esilaranti albi illustrati che ironizzano sulla suddivisione dei ruoli uomo-donna all’interno della società. Le versioni che vi presento sono in lingua francese e sono edite dalla casa editrice Limonade (non mi risulta che esista una versione italiana; ad ogni modo il testo è molto sintetico e di facile comprensione). Entrambi gli albi sono scritti da Sandrine Beau e illustrati da Soufie. Il primo albo si intitola “Ma maman est comme ça”. La storia descrive il dialogo di due bambine che si confrontano sulla figura della mamma. 


S. Beau - Soufie
Ma maman est comme ça, Limonade 2011
Tutti i diritti riservati


Il secondo albo è intitolato “Mon papa est comme ci” e ritrae il dialogo di due maschietti che si confrontano sulla figura del papà. Imperdibili!!!
  
S. Beau - Soufie
Mon papa est comme ci, Limonade 2011
Tutti i diritti riservati


“Se essere un buon genitore dipende da qualcosa che trascende il sesso, una persona omosessuale può essere un buon genitore? Quali sono i presupposti su cui basiamo la nostra risposta?”
 


Un caro saluto a tutti


Vedi anche:    8 marzo

Nota: Le illustrazioni presenti nella newsletter sono dell’artista Jean Michel Folon

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NOTE

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