PREMESSA
Ho sempre amato i libri…A volte ho la sensazione che alcuni di loro
non siano dei semplici oggetti ma siano una sorta di messaggeri un po’ magici:
compaiono nella nostra vita in modo inaspettato e sembrano, se vi si presta
attenzione, volerci dire qualcosa che va oltre il racconto in essi
contenuto…
INTRODUZIONE
Giocare a carte non è tra i miei passatempi preferiti ma c’è un
gioco che mi ha sempre affascinato e tutt’ora mi affascina. Si tratta di Ramino
Machiavellico più noto forse come Machiavelli. Lo scopo del gioco è intuire
quante più connessioni possibili fra le carte presenti sul tavolo e quelle che
si hanno in mano in modo da poter creare combinazioni favorevoli al deposito
delle carte che si possiedono …
…è riuscire a vedere le connessioni che trovo interessante…
Quando ho letto il libro “Guarda che la luce è del cielo” edito da Kite, scritto da Giulia Belloni e illustrato da Kaatje Vermeire mi è
sembrato di giocare a Machiavelli. Ogni parola, ogni immagine richiamava alla memoria
altre immagini, altre storie, letture, esperienze, pensieri creando
innumerevoli connessioni come infinite strade da percorrere.
Il tema trattato nel libro è uno dei più affascinanti e complessi
che ci siano:parla infatti di quel percorso unico e irripetibile che porta,
coloro che lo intraprendono, alla scoperta di se stessi. Questa sorta di
viaggio interiore è assolutamente personale e ogni individuo necessita del
proprio tempo per intraprenderlo. Generalmente inizia a seguito di un evento
particolare, spesso traumatico o doloroso. E’ un percorso impegnativo perché
richiede di superare molti blocchi e di affrontare situazioni non facili come
ad esempio la solitudine o il senso di vuoto (crisi esistenziale). La
tentazione di arrendersi, di scegliere una strada più facile e di comodo è
sempre in agguato.
Questo processo introspettivo porta ad una presa di coscienza
sempre maggiore con una conseguente maggiore profondità sia di pensiero che di
azioni: la distanza tra ciò che vorremmo essere e ciò che siamo si accorcia
donandoci un maggior senso di equilibrio e armonia.
La vastità e la complessità dell’argomento connesse con i limiti
legati al linguaggio e alla necessità di semplificare sintetizzando in modo
estremo alcuni passaggi non permettono di essere esaustivi pertanto l’
interpretazione del testo e delle immagini che seguirà offre solo alcuni possibili spunti di riflessione.
Affido al lettore, in base al suo livello di sensibilità, la
possibilità di approfondire i vari argomenti tracciando così un proprio cammino
dal momento che la propensione a prediligere una o l’altra strada dipende
dall’esperienza che ognuno ha vissuto o sta vivendo.
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Giulia Belloni - Kaatje Vermeire
Guarda che la luce è del cielo, Kite 2013
Tutti i diritti riservati© |
E’ stato già a partire dalla copertina che il meccanismo delle
connessioni si è innescato…
La copertina rappresenta un paesaggio urbano in prospettiva con un
cielo molto luminoso. Il personaggio di spalle in primo piano guarda verso il
cielo ed è illuminato dalla luce come rivelano i bagliori più chiari lungo il
profilo del viso e del corpo. Una traduzione in immagini del titolo che invita
a guardare verso il cielo perché è da lì che arriva la luce.
Interessante notare due cose: il personaggio è posto ad un livello
elevato rispetto alla strada. Potrebbe essere casuale… in realtà anche la
posizione di quello che possiamo intuire essere il protagonista ha un suo
significato preciso che però apparirà più chiaro dopo aver letto il racconto
(così come il senso del titolo ).
La seconda osservazione è di tipo grafico. Le scritte casa
editrice, autrice/illustratrice e titolo seguono il punto di fuga e l’altezza
del corpo delle scritte è decrescente come a rimarcare il senso di prospettiva
in una ricerca di armonia globale che evidenzia una certa attenzione ai
dettagli. Anche nella quarta di copertina la frase che fa intuire il tema del
racconto (la diversità) è posizionata in modo “diverso” da quello che ci
saremmo aspettati …coerenza grafica ma soprattutto ancora una volta …
attenzione ai dettagli …e …anche i dettagli possono raccontare…
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Giulia Belloni - Kaatje Vermeire
Guarda che la luce è del cielo, Kite 2013
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CONSAPEVOLEZZA DI UNA DIVERSITA’
La storia inizia con il protagonista che si accorge di essere
diverso. La diversità viene simbolicamente rappresentata dalla comparsa di un
paio di ali .
Durante tutto il racconto non verrà mai esplicitato che tipo di
differenza simboleggino le ali anche se in alcuni punti si potrebbe essere
indotti a pensare ad una possibile omosessualità.
In realtà la scelta di non esplicitare è, a mio avviso, un invito a
non soffermarsi sul tipo di differenza ma a riflettere ed analizzare il
MECCANISMO attraverso il quale SI ARRIVA A PERCEPIRSI DIVERSI poiché la sua
comprensione è un tema non solo UNIVERSALE ma BASILARE per il progresso di
ognuno di noi e di conseguenza dell’umanità. Ogni persona che si è sentita o si
sente, per qualsiasi motivo, un outsider potrà riconoscere e
riconoscersi nelle varie tappe che il protagonista del nostro libro affronterà.
Riuscire a comprendere i meccanismi che stanno dietro a certi
comportamenti o pensieri può essere di aiuto per cambiare o modificare quelle
situazioni che creano sofferenza trasformandole in qualcosa di positivo e
arricchente.
Da questo punto di vista, quindi, diventa importante mettere in
evidenza, come prima cosa, che la diversità di cui prende atto il protagonista
si esplica a due livelli:
- diversità rispetto a sé stessi (ieri le ali non c’erano oggi ci sono).
- diversità rispetto agli altri (il protagonista ha le ali, gli altri, quelli che lui conosce, no).
Il riconoscimento di questi due LIVELLI è un primo passo
importante poiché definisce l’esistenza di due mondi: quello interiore,
all’interno del quale la persona risponde solo a se stessa, e
quello esteriore dove la persona, essendo in relazione con altri, deve in
qualche modo tenerne conto. L’importanza di riuscire a “vedere” questa
differenza si chiarirà più avanti.
E’ interessante soffermarsi anche sui PENSIERI “A CALDO “del
protagonista poichè rimandano anch’essi ai due mondi appena accennati:
1-
Il senso di colpa, che diventa poi timore di malattia fino a
sfumare nella percezione più benevola (ma non ancora interiorizzata) di una
differenza, fa riferimento al mondo interiore;
2-
La paura della non accettazione da parte degli
altri ( ..”Ho creduto che gli altri, le persone che amavo, non mi
avrebbero accettato”) rimanda al mondo esteriore.
Per inciso, è curioso rilevare come la prima reazione sia UN SENSO
DI COLPA.
Da cosa origina il senso di colpa? E’ da attribuirsi a qualcosa di
innato o è indotto? In altre parole deriva da una predisposizione caratteriale,
una insicurezza congenita o ci viene insegnato (o peggio ancora
“inculcato”)?
Quando intraprendiamo il viaggio di conoscenza di noi stessi
diventa importante capire l’origine delle nostre emozioni in modo particolare
dei sensi di colpa perché sono come ancore che ci tengono arenati impedendoci
di prendere il largo.
Anche le AZIONI istintive del protagonista sono di due tipi:
1-
NECESSITA’ DI ELIMINARE CIO’ CHE LO RENDE DIVERSO per tornare ad
omologarsi e quindi soffrire meno (la diversità infatti fa soffrire)
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Giulia Belloni - Kaatje Vermeire
Tutti i diritti riservati©Guarda che la luce è del cielo, Kite 2013 |
2-
RICERCA DI APPROVAZIONE (forse per cancellare l’atavica PAURA DELLA
SOLITUDINE). Necessità di trovare SOSTEGNO in qualcuno (ancora una volta “gli
altri” quindi mondo esteriore)
Molto bello, a mio avviso, il fatto che il protagonista scelga la
madre come prima persona a cui rivolgersi perché è un assist formidabile
per riflettere sull’ importanza della FIGURA DEL GENITORE nello sviluppo della
personalità individuale dei figli e nel loro percorso verso la maturità (intesa
qui come capacità di sviluppare un pensiero proprio).
Qual è o dovrebbe essere il ruolo di un genitore?
Il discorso è ampio.
Il libro risponde a questa domanda delineando una figura di
genitore ben precisa:
- Un genitore nel quale il figlio ritrova dei tratti comuni, quindi in un certo senso si può identificare (“Dopotutto fin da bambino pensavo che avesse le ali …” ).
- Un genitore attento ( “ho sempre pensato che non fossi come gli altri” )
- Un genitore rispettoso; dal racconto si intuisce infatti che la madre pur essendosi accorta da tempo (“ho sempre pensato” ) della diversità del figlio non l’ha mai, però, fatta pesare aspettando che fosse il figlio ad accorgersene.
- Un genitore pronto ad accogliere , accettare e sostenere. La madre accoglie la richiesta di aiuto del figlio prendendo fra le sue mani in modo amorevole le ali … e non solo non critica nè giudica ma guarda alla diversità del figlio come qualcosa di bello (“un ricamo” ) e pur non avendo probabilmente le risposte che il figlio cerca fa la cosa, a mio avviso, più importante ovvero lo sostiene, gli infonde coraggio, gli dice implicitamente che la soluzione c’è, si può trovare. In altre parole fornisce al figlio quella forza necessaria per trovare da sé le risposte…Non si sostituisce a lui, non gli indica la strada ma gli dona “la benzina” per PERCORRERE quella strada .
E il figlio coglie…
“ Visto che lei accettava ho provato a farlo anch’io ”
A questo punto mi permetto una piccola digressione: e quando il
genitore non possiede le caratteristiche sopracitate che cosa succede? Riuscirà
ugualmente il figlio a trovare e a percorrere la strada di scoperta e
accettazione della sua diversità?
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Giulia Belloni - Kaatje Vermeire
Tutti i diritti riservati©Guarda che la luce è del cielo, Kite 2013 |
Riprendo l’analisi chiedendomi:
PERCHE’ SI ARRIVA A PERCEPIRSI DIVERSI? QUAL E’ IL
MECCANISMO MENTALE CHE CI PORTA ALLA PERCEZIONE DELLA DIVERSITA’?
DIVERSITA’ RISPETTO A CHE COSA?
A questo punto si rende necessario abbandonare per un attimo il
libro e aprire una parentesi.
La mia ricostruzione sul meccanismo che ci porta alla percezione
della diversità è la seguente:
Tutti i nostri giudizi e tutti i nostri comportamenti si basano su
SCHEMI MENTALI. Gli schemi mentali possono essere visualizzati come un insieme
di caselle dove noi classifichiamo e cataloghiamo tutto.
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Barbara Zanconato
Tutti i diritti riservati©What's your number?, 2013 |
Perché questa necessità?
Perché la realtà che ci circonda è complessa.
Per capire (e quindi gestire) la complessità dobbiamo
razionalizzarla. Per fare questo mettiamo in atto, più o meno consciamente, dei
meccanismi di classificazione e catalogazione perchè ci permettono di
SEMPLIFICARE la realtà.
In altre parole, per capire dobbiamo semplificare ed è per questo
che schematizziamo e incaselliamo .
Un esempio molto intuitivo di come costruiamo uno schema mentale
sono le domande che poniamo quando conosciamo una persona: generalmente
riguardano età, titolo di studio, lavoro, provenienza… le risposte ci
permettono di farci un’ idea (schema) del tipo di persona che abbiamo di
fronte.
Dopo aver incasellato le varie informazioni ed esserci creati uno
schema otteniamo di conseguenza delle indicazioni su come comportarci…come se
ogni casella rimandasse ad un’altra casella tipo gioco dell’oca…decideremo
allora se frequentare quella persona o meno a seconda che le informazioni
ottenute abbiano costruito un’immagine di lei più o meno interessante..
Naturalmente più domande facciamo più lo schema relativo a quella
persona è accurato…
Ma non sempre ci preoccupiamo di costruire uno schema accurato..
Esempio:
In farmacia
Cliente:ho la tosse
Farmacista: grassa o secca?
C: secca
Scatoletta gialla con scritta rossa
Altro cliente: ho la tosse
F: grassa o secca?
C:Grassa.
Scatoletta gialla con scritta blu
Molto spesso non viene fatta nessuna domanda, ne data nessuna
spiegazione, sul perché, sull’origine, sull’eventuale significato di quel
sintomo. Lo schema in questo caso è semplice: due caselle “grassa o secca”
che rimandano ognuna ad una sola casella “scatola gialla con scritta rossa o
blu”…Facile da seguire .
Ma attenzione…E’ vero che per capire dobbiamo schematizzare e
incasellare perché semplifica ma questo comporta un primo grosso rischio:
Rischio 1: ECCESSIVA GENERALIZZAZIONE
Esempio (tratto da un fatto di cronaca):
Al pronto soccorso. Bambino con febbre alta e vomito.
Diagnosi:influenza. Per abbassare la febbre: Tachipirina. Perché
alla casella “febbre” si fa corrispondere troppo spesso la casella “abbassare”
e a questa casella si fa corrispondere troppo spesso solo quella con il nome
della pillola magica. Eppure la casella “febbre/vomito” dovrebbe
richiamare anche ad un altro schema: “febbre/vomito uguale segnale” che
a sua volta rimanda ad un’altra casella: “ a cosa equivale questo segnale”?
Perché si sceglie e si accetta (troppo) spesso il percorso
che porta alla pillola magica e non si considera l’altro?
Perché le caselle dello schema mentale nel secondo caso
diventerebbero più di una. La faccenda si complicherebbe, richiederebbe più
attenzione. Richiederebbe… di analizzare…i DETTAGLI ma dettagli significano
caselle in più quindi…FATICA e TEMPO maggiori... Meglio semplificare. Perché è
questo verso cui si tende sempre di più: semplificare e velocizzare…
E allora ecco che se c’è la febbre è più facile generalizzare a
influenza, se la febbre è alta è più veloce pensare di abbassarla consigliando
la pillolina magica e il problema è risolto.
Ma… cosa succede quando febbre/vomito non sono un segnale di
influenza ma di meningite?
Rischio 2: CONSIDERARE QUESTI SCHEMI FISSI (rigidi, che non mutano
nel tempo)
Un esempio, purtroppo attuale, che mi viene in mente sono i casi di
femminicidio la cui dinamica è da far risalire, a mio avviso, proprio alla
tendenza a non considerare che la vita è continuo cambiamento e che richiede,
di conseguenza, di riaggiornare periodicamente quegli schemi mentali (da cui
deriva il modus vivendi) che una coppia costruisce nel momento in cui si
forma. Questi schemi, se rimangono fissi, tendono nel tempo a generare
abitudini (ovvero comportamenti ripetuti acriticamente) che non tengono conto
dei mutamenti che nel frattempo sono inevitabilmente avvenuti all’interno della
coppia (es. nascita di figli, crisi economica che porta magari a perdita di
lavoro etc..)
La presa di coscienza di un membro della coppia (nel caso dei
femminicidi è la donna) che sono avvenuti dei cambiamenti tali da richiedere
una revisione degli schemi contrapposta al contemporaneo rifiuto da parte del
compagno a riconoscere e ad accettare qualsiasi tipo di modifica porta, nei
casi estremi, la donna ad andarsene e l’uomo al femminicidio che altro non è
che un tentativo disperato di opporsi al cambiamento al fine di mantenere lo status
quo (schemi noti).
Perché tendiamo a considerare fissi gli schemi che ci siamo
costruiti?
Perché cambiare uno schema mentale richiede uno SFORZO ENORME.
Ricostruire è sempre qualcosa che richiede FATICA e TEMPO. Ma fatica e tempo
sono due concetti che stanno sempre più perdendo valore soprattutto oggi dove
la tendenza è quella di semplificare e velocizzare qualsiasi cosa … perfino i
sentimenti.
L’amicizia, un tempo, richiedeva l’interazione con almeno un’altra
persona (fisica) oggi è un click sul profilo del social network .
Ecco allora che - tornando al libro e alla domanda “PERCHE’ SI
ARRIVA A PERCEPIRSI DIVERSI” ? - la risposta è che la DIVERSITA’
la percepiamo quando non riusciamo a trovare una casella che ci inquadri e che
ci faccia inserire e omologare ad uno o più schemi a noi noti .
In altre parole DIVERSITA’= FUORI SCHEMA
Il protagonista del libro si percepisce DIVERSO nel momento in cui,
essendo intervenuto in lui un cambiamento, questo gli impedisce di riconoscersi
all’interno degli schemi che lui conosce e che ha sempre accettato come validi.
E gli schemi sono, come abbiamo già messo in evidenza, riferibili a due livelli
:
1-
mondo interiore: schema mentale che il protagonista si era
costruito e che definiva la percezione di sé (“io come vedo me stesso”)
2-
mondo esteriore: schemi mentali che altri hanno costruito, che
comunemente vengono accettati e che influenzano i nostri comportamenti sociali
e le scelte, a volte, anche personali (potremmo definirlo anche “immagine o maschera”
ovvero “come gli altri ci vedono”)
La perdita dei punti di riferimento determina la necessità di
trovarne degli altri al fine di ricreare nuovi schemi mentali dove
riconoscersi: inizia una FASE DI RICERCA.
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Giulia Belloni - Kaatje Vermeire
Tutti i diritti riservati©Guarda che la luce è del cielo, Kite 2013 |
Interessante che il protagonista cerchi ispirazione nell’arte (“Ho trovato
dei disegni di ali in vari libri e tele..”) perché
offre l’occasione di chiedersi QUAL’E’ IL RUOLO DELL’ARTE? A COSA SERVE L’ARTE?
Frida Khalo sosteneva che l’arte, come la Bibbia, indica cammini…
forse perché quando intraprendiamo il viaggio verso la consapevolezza ci
poniamo inevitabilmente delle domande a cui non è semplice rispondere … l’arte
può rappresentare dunque, come suggerisce anche il libro, una fonte di
ispirazione ( “Gli artisti le dipingevano aperte, le mie invece restavano
perlopiù chiuse, ma questo forse dipendeva da me..” )
Da questo momento il processo di CONSAPEVOLEZZA (detto anche di
INDIVIDUAZIONE) inteso come presa di coscienza, inizia a
farsi più profondo; il protagonista, infatti, compie un ulteriore passo avanti
nell’accettazione della sua diversità: non la nasconde più ma DECIDE DI FARLA
VEDERE (fa, per così dire, “outing”) e sperimenta diverse situazioni.
Dapprima fa un uso PASSIVO della sua diversità limitandosi a farla
vedere perché si rende conto che, anche semplicemente rendendola manifesta
(condividendola), questo suo gesto potrebbe essere d’aiuto a quelle persone che
come lui si sentono diverse ma non hanno il coraggio di dichiararlo (“ le
signore con cappotto e cappello al parco, e farle sorridere di nuovo”…).
L’attenzione del protagonista è però ancora rivolta verso
l’esterno. La sua preoccupazione in questa fase è ancora quella di farsi
accettare dagli altri.
E qui ci sono diversi spunti interessanti da analizzare.
Innanzitutto il bisogno di CONDIVIVISIONE
“ Stupire… farmi ammirare… raggiungere …”
Perché la maggior parte delle persone sente il bisogno di condividere?
Da dove nasce questo bisogno, quali sono le sue radici? E’ universale?
Considerando il successo di internet e dei social network, che del
bisogno di condivisione ne hanno fatto un business, si può affermare senza
timore di smentita che questo desiderio è decisamente molto diffuso a tal punto
da poter apparire una necessità… personalmente sono convinta che tutti, in un
modo o nell’altro, sentiamo dentro di noi il bisogno di condividere; quello che
però fa la differenza è il MODO in cui scegliamo di condividere(ovvero cosa
e soprattutto con chi condividiamo) .
Da cosa dipende questa differenza?
Dipende dal concetto di ALTRI che abbiamo.
La condivisione implica che vi siano degli altri oltre a noi. Ma
chi sono gli altri? Qual è lo schema mentale a cui facciamo riferimento
quando pensiamo agli altri?
E' un concetto interessante da approfondire perché sulla base dello
schema che ci siamo costruiti relativamente alla parola “altri” deriva
il modo in cui ci comportiamo (e di conseguenza condividiamo).
Ancora una volta il discorso è ampio e complesso poichè invita
quasi automaticamente ad introdurre il concetto di UGUAGLIANZA … e la domanda
sorge spontanea:
Gli “altri” sono tutti uguali? Ma … uguali rispetto a
che cosa?
Troppo spesso si tende a banalizzare considerando il concetto
di uguaglianza tout court. Semplifichiamo a tal punto i nostri
schemi mentali considerandoci (per lo meno a parole) tutti uguali.
In realtà quando si parla di uguaglianza bisognerebbe specificare in
funzione di cosa la consideriamo.
Se consideriamo l’uguaglianza in funzione del concetto di RISPETTO,
per esempio, possiamo affermare che gli esseri umani sono tutti uguali?
Possiamo dire che gli esseri umani sono tutti degni di rispetto
indipendentemente dal sesso, dalla fede religiosa, dal colore della pelle,
dagli orientamenti sessuali etc…? La storia, passata e presente, ci
dimostra che questo concetto non è così unanimemente condiviso come forse
sarebbe auspicabile .. questo porta a dedurre che, se consideriamo gli altri
in funzione - ad esempio - dell’APERTURA MENTALE, non possiamo certo
affermare che vi sia uguaglianza anzi…i fatti evidenziano che vi sono:
-
persone dalla visione ristretta (o per dirla in un altro modo “dagli
schemi mentali di poche caselle”) che non accettano chi la pensa
diversamente e che rifiutano altre visioni che non siano la loro arrivando
addirittura all’uso della violenza per eliminare la diversità
-
persone dalla visione limitata, che tollerano (più o meno bene) chi
la pensa diversamente ma che non dimostrano interesse verso altri punti di
vista nè nell’ampliare i loro orizzonti mentali
-
persone dalla visione più ampia che considerano la diversità una
ricchezza e che per questo cercano di allargare le loro vedute rimettendo in
discussione, quando necessario, gli schemi mentali per costruirne sempre di
nuovi
-
persone la cui visione è così ampia ed elevata che addirittura
anticipano schemi mentali ovvero modi di pensare (e di conseguenza di agire)
che si realizzeranno nel tempo
Queste tipologie di umanità sono anche quelle che il protagonista
del libro incontra nel suo cammino. SIMBOLICAMENTE sono rappresentate da:
-
gli animali
-
chi lavora la terra ma nulla sa del cielo e dei modi di
attraversarlo
-
chi lavora sulle balaustre tra cielo e terra e che cerca di
costruire un ordine, e una nuova forma di armonia
-
chi “avrebbe detto o insegnato” (figura
del maestro)
Vi sono due aspetti importanti da considerare:
1.
l’appartenenza ad un livello piuttosto che ad un altro, in questo
preciso contesto, non implica un giudizio di merito. I vari livelli vogliono
rappresentare semplicemente un diverso grado di apertura mentale
(consapevolezza). Un’aquila non è migliore di una mucca perché vola. Sono
semplicemente diverse, hanno, per così dire, talenti diversi.A questo proposito, per
associazione di idee, mi viene in mente proprio la parabola dei talenti di
Matteo Mt25,14-30 dove il padrone distribuisce a TUTTI i servi dei talenti ma
lo fa in modo DIVERSO secondo le loro capacità. Quello che mi interessa mettere
in risalto è che la distribuzione dei talenti è guidata dal concetto di
diversità e non di uguaglianza ; diversità che a sua volta non significa
migliore o peggiore: il servo a cui è stato dato un solo talento non è, al
momento della distribuzione, peggiore di quello che di talenti ne ha ricevuti
cinque, ha semplicemente capacità diverse. Una persona a cui sono state
amputate le gambe non è peggiore di una persona che ha entrambe le gambe:
semplicemente ha delle capacità diverse che andranno tenute in considerazione
2.
Assimilare il concetto di diversità è importante perché ci aiuta ad
orientarci: riconoscere la diversità è anche riconoscere l’affinità. Nel “Il piccolo Principe”
c’è un passo in cui De Saint-Exupéry scrive:
“Ho incontrato molte persone…nella mia vita.. Li ho conosciuti intimamente, li ho osservati proprio da vicino. Ma l’opinione di loro non è molto migliorata. Quando ne incontravo uno che mi sembrava di mente aperta, tentavo l’esperimento del mio disegno numero uno, che ho sempre conservato. Cercavo di capire così se era veramente una persona comprensiva. Ma, chiunque fosse, uomo o donna, mi rispondeva: “E’ un cappello”. E allora non parlavo di boa, di foreste primitive, di stelle. Mi abbassavo al suo livello. Gli parlavo di bridge, di golf, di politica, di cravatte. E lui era tutto soddisfatto…”
“Ho incontrato molte persone…nella mia vita.. Li ho conosciuti intimamente, li ho osservati proprio da vicino. Ma l’opinione di loro non è molto migliorata. Quando ne incontravo uno che mi sembrava di mente aperta, tentavo l’esperimento del mio disegno numero uno, che ho sempre conservato. Cercavo di capire così se era veramente una persona comprensiva. Ma, chiunque fosse, uomo o donna, mi rispondeva: “E’ un cappello”. E allora non parlavo di boa, di foreste primitive, di stelle. Mi abbassavo al suo livello. Gli parlavo di bridge, di golf, di politica, di cravatte. E lui era tutto soddisfatto…”
Rendersi conto che esistono diversi livelli di persone significa
anche accorgersi che con alcune persone siamo affini mentre con altre no.
E questo è importante ai fini della ricerca del gruppo di
appartenenza. La necessità di condividere con gli altri nasconde infatti un
innato bisogno di appartenenza. Ognuno di noi, consciamente o incosciamente,
sente il bisogno di appartenere ad un gruppo (anche le persone che si considerano
o vengono considerate asociali non sono altro che persone con un criterio di
condivisione molto selettivo) ma il gruppo a cui dobbiamo aspirare è quello a
noi affine poiché è l’affinità che favorisce la crescita .
Affinità significa riconoscimento e accettazione. E sono il
riconoscimento e l’accettazione che apportano vitalità ed energia ad una
persona. Quando ci sentiamo accettati e valorizzati siamo stimolati a dare, a
fare, a costruire; in altre parole la nostra energia vitale ne trae giovamento,
cresce …un fiore cresce e fiorisce quando l’ambiente e le condizioni sono
favorevoli e così vale anche per le persone.
Per essere in grado di cogliere l’affinità, però, dobbiamo per
prima cosa cogliere ed accettare la DIVERSITA’ ma per fare questo è necessario
rivedere lo schema mentale relativo a questo concetto poiché, complici le
ideologie che via via si sono imposte e che hanno standardizzato i concetti
diversità/uguaglianza, un errore che si commette spesso è quello di attribuire,
acriticamente, alla diversità una connotazione negativa e alla uguaglianza una
connotazione positiva. La connotazione negativa che attribuiamo alla diversità
dipende dal fatto che la associamo, in modo automatico, ai concetti di
inferiore/superiore mentre “diverso” dovrebbe significare semplicemente qualcos’
altro. L’aquila vola e la mucca fa il latte: sono animali diversi ma non
per questo uno è superiore all’altro.
Spesso abbiamo paura ad utilizzare la parola diverso, a dire
esplicitamente che una data persona è diversa da noi perché temiamo di essere
tacciati per razzisti ma questo timore nasce appunto dal fatto che lo schema
mentale a cui facciamo riferimento implica un giudizio di merito
(superiore/inferiore) cosa che invece è necessario rivedere e correggere.
Se accettiamo per valide queste premesse comprendiamo anche perché
ad un certo punto del racconto il nostro protagonista non riesce a risolversi e
si sente solo.
Preso atto della sua diversità si rende conto che non potrà più
essere quello di prima in quanto gli schemi mentali su cui basava la percezione
di sé fino a quel momento sono crollati; contemporaneamente percepisce che, per
andare avanti, è necessario ricostruire un nuovo ordine, una nuova armonia
ovvero dei nuovi schemi ma non ha più punti di riferimento ne dentro di sé né
negli altri… Altri che ora vede in modo diverso e nei quali, probabilmente, non
trova più affinità.
E’ come se simbolicamente fosse avvolto dalle tenebre e il buio
è, da sempre, una delle più grandi PAURE dell’uomo…
In questa fase vi è anche un forte senso di SOLITUDINE poiché gli altri
inevitabilmente si dissolvono sia metaforicamente che realmente (i momenti di
crisi e di difficoltà sono paradossalmente anche l’occasione per testare la
veridicità e la forza dei legami con le altre persone…)
Spesso capita che in questa fase così critica, carica di SOFFERENZA
e FORTI EMOZIONI, si senta il desiderio di trovare qualcuno che ci possa
aiutare o dare delle indicazioni.
E qui entra in gioco la figura del MAESTRO COME GUIDA. Argomento
interessante da approfondire…
Chi è e come deve essere un maestro? Un terapeuta, un guaritore, un
medico, una guida spirituale…o chi altri?
Su che cosa basiamo la nostra scelta e come definiamo se è
competente? Ma soprattutto…ci preoccupiamo di verificare se è competente (in
altre parole “i maestri sono tutti uguali?”) E per competenza cosa
intendiamo? Cosa ci aspettiamo da colui che vorremmo come guida (per un
approfondimento su questo tema rimando a “Il pentolino di Antonino” di Kite
edizioni)?.
La cruda verità è che in questi momenti si dovrebbe arrivare a
realizzare che non esiste NESSUNO che ci può dire cosa fare. Il processo di
maturazione di ogni individuo infatti è UNICO e per questo non può essere
codificato con regole generali da poter applicare pedissequamente. Nessuno ci
potrà mai indicare la strada perché ognuno di noi è DIVERSO e la nostra strada
non si può che trovarla da soli.
L’errore in cui si cade spesso in questi casi (forse anche perché
ci viene più comodo) è pensare che siano gli altri a doverci dire o insegnare
chi siamo mentre, in realtà, solo noi possiamo rispondere a questa domanda:
siamo noi che dobbiamo costruire i nostri nuovi schemi. Gli altri possono solo
ispirarci, sostenerci o nel migliore dei casi (se siamo fortunati)
incoraggiarci ma nessuno potrà mai dirci chi siamo, in cosa dobbiamo credere e
come dobbiamo comportarci (almeno a livello personale).
Se fossero gli altri a definire chi siamo torneremmo al punto di partenza poiché torneremmo a vivere secondo schemi altrui e questo simbolicamente significherebbe vivere con ali fittizie, che non ci appartengono, che ci sono state incollate addosso… ma, come insegna il mito di Icaro, quando si vola con ali non proprie il rischio è quello che si brucino facendoci cadere…
Penso ad esempio alle mamme che uccidono i figli e il cui gesto
viene liquidato spesso come un raptus … in realtà questo terribile atto
nasconde un dramma ben più profondo: quello di avere accettato più o meno
passivamente lo schema comunemente condiviso che “donna = mamma amorevole”
quando in realtà è una generalizzazione di comodo che un certo tipo di cultura
ha avuto ed ha interesse a portare avanti ma che non tiene conto della
diversità. Essere donna non significa necessariamente dover essere mamma.
Scegliere consapevolmente di non diventare mamma non fa di una donna una donna
peggiore così come una donna che fa tanti figli non è necessariamente una donna
migliore. Si dovrebbe diventare madri perché lo si desidera non perché è
consuetudine o peggio ancora “tradizione” o … perché capita…
Maternità consapevole ha detto recentemente qualcuno…
ma questo richiederebbe la revisione di parecchi schemi…
Ecco allora che nel momento in cui si diventa consapevoli che gli
altri non ci possono aiutare, il senso di solitudine si fa più acuto e
profondo: siamo soli con noi stessi.
Ma… NOI CHI SIAMO?
Da questo punto di vista è interessante rilevare che la solitudine
mentre da un lato ci fa soffrire perché non permette di soddisfare il nostro
bisogno di appartenenza, dall’altro, proprio grazie al fatto che ci isola dagli
altri, ci fornisce l’occasione di entrare in contatto e conoscere la vera parte
di noi stessi.
LA
SOLITUDINE CI METTE ALLA PROVA E DEFINISCE CHI SIAMO
Questo è un momento cruciale del processo di consapevolezza perché
ci sono solo due possibilità:
1-
restare fermi
2-
andare avanti.
E’ una decisione DIFFICILE e cosa fare dipende solo da noi.
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Giulia Belloni - Kaatje Vermeire
Tutti i diritti riservati©Guarda che la luce è del cielo, Kite 2013 |
Dal punto di vista delle immagini del libro, molti sono i richiami
simbolici che l’illustratrice usa per descrivere, in questa fase, lo stato
emotivo del protagonista. La scena è ambientata di notte alla luce fredda della
luna a sottolineare il senso di solitudine. I piedi appoggiati a terra sono
segno che il protagonista è ancora indeciso sul da farsi ma il riflesso
sull’acqua delle ali aperte con il viso rivolto verso l’alto ci anticipa già
l’intenzione così come, ancora più anticipatrice, è l’immagine del cigno che,
ricollegandosi alla fiaba del brutto anatroccolo, ci rivela quale sarà la
scelta del protagonista e il suo epilogo.
Come dicevo, questo è un altro momento CRUCIALE del processo di
maturazione perché ci troviamo di fronte ad un bivio che ci costringe a
scegliere tra il restare fermi o l’andare avanti.
RESTIAMO FERMI quando, sfiduciati di noi stessi, rinunciamo a
trovarci. Quando accartocciamo le nostre ali e le nascondiamo. Quando non
seguiamo la nostra natura, che ci porterebbe a librarci nell’aria, ma decidiamo
di rimanere a terra auto-rinchiudendoci in una gabbia le cui sbarre sono gli
schemi che altri ci impongono; quando ci limitiamo a vivere - ma forse sarebbe
più corretto dire sopravvivere - con rassegnazione. Questa
situazione conduce inevitabilmente ad una diminuzione dell’energia vitale
portandoci a quello stato di apatia e stanchezza comunemente noto come
depressione (per un approfondimento sull’ argomento vi rimando a “Confesso che ho desiderato” della stessa autrice). E spesso, volontariamente, zittiamo quella
voce interiore, che ci avverte che non stiamo seguendo la giusta strada, con
pillole o stratagemmi vari fino ad arrivare, in casi limite, a sopprimerla con
gesti estremi.
Viceversa ANDIAMO AVANTI quando decidiamo di capire chi siamo
imparando a conoscere i nostri pregi e i nostri difetti e accettandoci per come
siamo; ma ancor più andiamo avanti quando smettiamo di dar retta a quella voce
malefica che ci vorrebbe far sentire sempre in colpa o che denigra tutto ciò
che facciamo etichettandolo come sbagliato o ridicolo e impariamo ad amare noi
stessi di un amore rispettoso e avvolgente. È amandoci che arriviamo ad avere
rispetto di noi e di conseguenza a pretendere rispetto anche dagli altri.
E’ questo il segreto da capire e fare proprio: AMARE SE’ STESSI,
AVERE FIDUCIA NELLE PROPRIE CAPACITA’ E NEL PROPRIO ISTINTO perché è proprio
questa ENERGIA POSITIVA che ci permetterà di vincere la paura e spiccare il
volo!
L’acrobata riesce a librarsi nel vuoto perchè ha estrema fiducia in
se stesso e nelle sue capacità. Si ama. E’ solo così che riesce a lasciare il
suo trapezio. Se non si amasse, se non avesse fiducia in sé sarebbe soprafatto
dalla paura e non troverebbe il coraggio di lanciarsi.
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Giulia Belloni - Kaatje Vermeire
Tutti i diritti riservati©Guarda che la luce è del cielo, Kite 2013 |
Nel finale del racconto il protagonista è pronto a spiccare il volo
ma il tempo coniugato al futuro “..sarà il prossimo il tuo più
grande amore ” lascia ad intendere che il volo non è ancora stato affrontato.
Chiudendo il libro ci si accorge che la copertina svela/anticipa, in una
perfetta visione ciclica, il finale: il protagonista siede sulle balaustre
dalle quali guarda il mondo che lo circonda e lo osserva da una prospettiva più
elevata e di conseguenza più ampia. Le ali si sono spiegate e il volo è
iniziato. Iniziato perché il titolo è un invito a non fermarsi, a non
accontentarsi della posizione raggiunta ma a puntare sempre più in alto, verso
la luce (…per ambire a diventare un essere “ illuminato?” )
Guarda che la luce è del cielo…
… in fondo, forse, è questo il senso della vita: scoprire i
nostri talenti, quelli che ci rendono diversi, e usarli facendoli
fruttare al massimo con creatività e capacità di reinventarsi continuamente
perché solo così ci sentiremo pienamente realizzati e di conseguenza felici …
…e che cos’è la felicità se non un pieno di energia capace di farci
smuovere il mondo, che illumina il nostro viso e dona ai nostri occhi una luce
particolare?!
“Guarda che la luce è del cielo” - Kite
edizioni