lunedì 11 novembre 2013

TUTTI IN CLASSE



Quando si fa strada dentro di me una certa inquietudine, quando l’anima comincia a dare segni di insofferenza finisco nella maggior parte dei casi per rifugiarmi in libreria. Sfoglio libri alla ricerca di qualcosa che mi parli, che plachi quel sentimento indefinito che troppo spesso negli ultimi tempi mi assale. Cesare Pavese scriveva che leggendo non cerchiamo idee nuove ma pensieri già da noi pensati, parole che, risuonando in una zona già nostra, la fanno vibrare permettendoci di cogliere nuovi spunti dentro di noi. 
E’ stato con questa propensione d’animo che la mia attenzione, durante una delle ultime incursioni in libreria, è caduta sul libro di Alex Corlazzoli  “Tutti in classe. Un maestro di scuola racconta” edito da Einaudi.
 
A. Corlazzoli "Tutti in classe"
Einaudi, Torino 2013

Sfogliando le prime pagine sono stata attratta dalla citazione di Steve Jobs che recita: 
“A tutti i folli. I solitari. I ribelli. Quelli che non si adattano. Quelli che non ci stanno. Quelli che sembrano sempre fuori luogo. Quelli che vedono le cose in modo differente. Quelli che non si adattano alle regole. E non hanno rispetto per lo status quo. Potete essere d’accordo con loro o non essere d’accordo. Li potete glorificare o diffamare. L’unica cosa che non potete fare è ignorarli. Perché cambiano le cose. Spingono la razza umana in avanti. E mentre qualcuno li considera dei folli, noi li consideriamo dei geni. Perché le persone che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo sono coloro che lo cambiano davvero” 

Leggendo queste parole qualcosa dentro me è risuonato. Forte, così forte da indurmi a sfogliare altre pagine. Il libro, come anticipa il titolo, parla di scuola. Guardo la nota biografica e scopro che Alex Corlazzoli è un maestro, giornalista e scrittore che, facendo tesoro della sua esperienza nel campo dell’insegnamento, fa una fotografia della scuola italiana di oggi e della generazione, che (questo lo scoprirò più tardi) lui chiama, 2.0.

Apro a caso alcune pagine: 
Pag 6
"I ragazzi hanno voglia di essere interessati, coinvolti. Studiano quando non vengono costretti a ricordare pagine e pagine, date e dati, nomi e numeri. Intanto, sono informazioni che non resteranno in mente per tutta la vita. Non riesco ancora a capire perché studiare deve essere concepito solo come sforzo, come sacrificio….” 

Sfoglio ancora e capito a pagina 8:
Pag. 8
"…ho spesso a che fare con la “maestra dalla penna rossa”. C’è sempre, ancora lei. … usa il solito linguaggio: “Non si applica, è sfaticato, è pigro”. Ma forse non si è chiesta davvero perché Christian non apre il libro, perché non prova interesse. … Vogliamo etichettare i bambini quando di loro, spesso, non conosciamo nulla. Vogliamo che raggiungano obiettivi, traguardi, senza sapere il punto di partenza. Ignoriamo che cosa portano nello zaino oltre ai quaderni e all’astuccio, chi sono i loro genitori, quali libri leggono a casa, se hanno una libreria, un computer. Dovremmo comprendere che il vero traguardo non è il voto ma la vita, la strada che riusciamo a segnare per loro".

Mi illumino e proseguo nella lettura “random”: 
Pag. 12-13 
"Alla scuola primaria costruiamo le fondamenta della personalità, del profilo professionale, della cittadinanza. Il programma non può essere una gabbia. Mi ritrovo spesso ad ascoltare i bimbi, a discutere con loro in classe di qualcosa che non è contemplato nel programma ma che contribuisce a sviluppare i loro interessi. Perché già alle elementari può iniziare un processo di orientamento.…[la scuola primaria] ha il compito di far amare lo studio, direzionare, orientare, offrire esperienze di lettura del mondo… Anche perché una scuola che sa pensare ai suoi figli, immaginandoli innanzitutto cittadini, e poi imprenditori, artigiani, muratori, medici o avvocati, sa essere profetica…Dobbiamo tornare a una scuola che abbia un’idea della società che vuole realizzare, con insegnanti che cullino i sogni dei ragazzi e segnino loro la strada per raggiungerli…"

Pag. 46
"C’è anche un altro problema: in un mondo sempre più globale i nostri libri e i nostri programmi didattici imprigionano i bambini in Italia. Ma oggi i miei ragazzi devono sentirsi europei… " 

Ma quello che mi convince definitivamente ad acquistare il libro sono le parole di pagina 48:
Alla fine di ogni anno lascio in eredità quattro consigli ai miei ragazzi: 
Uno: rompete sempre le scatole
Due: non state zitti di fronte alle ingiustizie.
Tre: non siate mai indifferenti; se passate di fronte ad un uomo che chiede la carità, domandatevi perché è lì.
Quattro: viaggiate!

Il libro è mio!
Torno a casa e lo leggo d’un fiato. I temi “fotografati” sono numerosi; interessanti gli spunti di riflessione e anche i suggerimenti ma quello che più mi tocca è l’attenzione di questo insegnante per “l’aspetto umano”:

Pag. 123
"La vera scommessa della scuola è mettere al centro dell’aula il banco del bambino e non la cattedra. Dobbiamo imparare a “leggere” quello che il bambino scrive sopra e sotto il banco,ciò che tiene in cartella, al di là dei libri. Lavorare con i bambini richiede una competenza professionale, ma anche una grande capacità di entrare in relazione. Dobbiamo essere in grado di capire ciò che i ragazzi non dicono, leggere nei loro occhi, nei movimenti ansiosi delle loro mani".

Pag. 110
"La fisicità, il contatto, l’abbraccio, lo stare gomito a gomito sono le uniche esperienze indelebili della vita, ad ogni età".

Pag. 126-127
"Spesso [ i bambini] hanno bisogno di affetto. Forse perché hanno perso anche in termini di relazione con i propri insegnanti. …[..] Non sono un fanatico delle “maestre mamme”, sempre pronte ad aggettivare le piccole pesti con “poverini”. Ma vorrei poter giocare con i bimbi alla fine della lezione, ruzzolando nell’erba del giardino. Vorrei prenderli in braccio, dare loro un buffetto amorevole quando serve o un bacio sulla testa. […] I bambini cercano questa relazione umana. Desiderano una scuola che sia luogo di amicizia, di vita, di lavoro. Ma non è facile. […] Abbiamo bisogno di una scuola più umana e meno burocratica, che sappia mettere al centro solo il bambino".

Pag. 128-129
"La scuola la possiamo costruire insieme. I figli della rete hanno una grande voglia di essere non solo discendenti ma anche i costruttori del sapere. Per anni abbiamo immaginato sui banchi truppe di ragazzi che dovevano solo ascoltare, tanto che, a un certo punto, ci siamo ritrovati alle superiori eserciti di adolescenti apparentemente svogliati, non interessati a discutere con il docente. I bambini del Duemila stanno ribaltando questo concetto, e mettono a dura prova gli insegnanti dai capelli bianchi: le mani dei piccoli sono sempre alzate. Vogliono dire la loro, portare una testimonianza, raccontare [… ]. Sono positivi e riformatori. […] Molti pensano che siano disinteressati o svogliati. A volte li definiscono “baby bulli”. Ma alla fine di ogni anno scolastico li ho visti solo piangere quando li ho salutati. Quando, tra i banchi o su un prato, ho detto loro che anche per me sono stati maestri di vita. Quando li ho ringraziati perché mi hanno insegnato ancora una volta a stupirmi". 

Si dice che una persona comprenda certe cose solo quando le ha provate. Pur non essendo una insegnante di scuola, anche a me , lavorando con i bambini è capitato di trovarmi nella situazione sopra descritta. Forse è per questo che queste ultime parole mi hanno commossa…




"Education is not the filling of a pail but the lighting of a fire”
"L’istruzione non è riempire un secchio ma accendere un fuoco” 

                                                                                           W.B. Yeats






Un caro saluto a tutti





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